Bilancio di sostenibilità e PMI: quale evoluzione prevedibile del contesto normativo?

da | Set, 2023

Ciò implica che le aziende che redigono il bilancio sociale siano sempre più incentivate, a cascata, a selezionare i propri fornitori in modo da semplificare la raccolta di informazioni utili per la redazione del bilancio.

A seguito dell’approvazione da parte del Parlamento Europeo e del Consiglio Europeo, è stato pubblicato in data 14 dicembre 2022 il testo della direttiva UE n. 2022/2464 denominata “Corporate Sustainability Reporting Directive”. La direttiva è entrata in vigore il 5 gennaio 2023, venti giorni dopo la pubblicazione sulla gazzetta ufficiale dell’Unione Europea.

 

La direttiva rende sempre più chiaro che gli obblighi legati alla rendicontazione non finanziaria sono destinati ad uscire dal perimetro delle grandi imprese per interessare una platea sempre più ampia di aziende. Questo per almeno due motivi. 

Primo, dal 1° gennaio 2026, la direttiva estende gli obblighi di rendicontazione non finanziaria alle imprese quotate di medie e piccole dimensioni. Restano escluse solo le microimprese.

Secondo, la direttiva reitera il principio che le imprese sottoposte all’obbligo di rendicontazione sono tenute a rendicontare anche i principali impatti negativi, effettivi o potenziali, su tutta la propria catena del valore. Per essere più precisi, all’articolo 19 bis, dove è descritto il contenuto della rendicontazione di sostenibilità, al paragrafo 3, la direttiva chiarisce che la rendicontazione può includere informazioni “…sulle attività dell’impresa e sulla sua catena del valore, comprese informazioni concernenti i suoi prodotti e servizi, i suoi rapporti commerciali e la sua catena di fornitura”. 

Ciò implica che le aziende che redigono il bilancio sociale siano sempre più incentivate, a cascata, a selezionare i propri fornitori in modo da semplificare la raccolta di informazioni utili per la redazione del bilancio. Un fornitore che, a sua volta, redige il bilancio di sostenibilità sarà quindi preferibile nell’ottica di semplificare l’analisi della sostenibilità della catena del valore. 

Evidentemente, il legislatore europeo tiene conto delle difficoltà nel reperimento delle informazioni relative a piccole e medie aziende che non sono soggette all’obbligo di rendicontazione di sostenibilità, per esempio se operanti in paesi ad economia emergente. Nella redazione dei principi di sostenibilità, quindi, che saranno resi disponibili entro il 30 giugno 2023, definisce quali informazioni siano “proporzionate e pertinenti”. Tuttavia, è evidente che la normativa si sta evolvendo in modo tale da rendere vieppiù cogente la necessità da parte delle aziende tenute alla rendicontazione di sostenibilità di interagire strettamente con fornitori che siano a loro volta in grado di fornire informazioni relativamente alla propria sostenibilità ambientale e sociale.

 

Volendo guardare in avanti, l’approvazione ed entrata in vigore della direttiva UE n. 2022/2464 sembra essere un tassello nel quadro di un disegno più ampio. Nel febbraio 2022, la Commissione Europea ha adottato la proposta di direttiva n. 2022/71 sulla dovuta diligenza delle imprese ai fini della sostenibilità. La proposta di direttiva, che ha ricevuto il parere del Comitato Economico e Sociale il 14 luglio 2022 e che è attualmente in discussione al Consiglio Europeo, prevede l’obbligo per le grandi aziende di redigere un documento di dovuta diligenza riguardo i potenziali effetti avversi della propria attività sull’ambiente e sui diritti umani. La direttiva prevede che tale dovuta diligenza includa le attività dell’azienda su tutta la catena del valore allargando quindi l’obbligo di monitoraggio a tutte le established business relationship

La direttiva non si ferma a richiedere una rendicontazione ma prevede la responsabilità civile per le eventuali violazioni dei diritti umani o per gli impatti avversi sull’ambiente (articolo 22) chiedendo l’impegno delle aziende ad operarsi per eliminare gli evidenziati effetti negativi (articolo 8). La normativa prevede anche un sistema di monitoraggio e denuncia per cui gli stakeholder possono segnalare eventuali effetti avversi sui diritti umani e sull’ambiente presso autorità appositamente costituite (articolo 17). Queste ultime, d’altra parte, possono iniziare indagini su tali effetti avversi anche motu proprio (articolo 18) e comunque sono chiamate a predisporre un sistema di sanzioni (articolo 20). 

 

Molte sarebbero le aziende potenzialmente interessate dagli effetti di questa proposta, nel caso si trasformasse in direttiva. La direttiva interesserebbe tutte le aziende europee con un numero di dipendenti maggiore di 500 e un fatturato superiore a 150 milioni di euro. Per le aziende che operano in settori a particolare rischio le soglie scendono a 250 dipendenti e 40 milioni di euro di fatturato. I settori che sono tenuti d’occhio non sono pochi. Una lista non esaustiva dei settori che rientrano in questa categoria include, per esempio, tutto il tessile e abbigliamento, l’agricoltura e la pesca, la manifattura di alimenti e il commercio all’ingrosso di materie prime alimentari, di animali vivi, di legno, cibo e bibite. L’industria estrattiva è ovviamente inclusa assieme alla manifattura di metalli e minerali non metallici.

Al di là dell’inclusione o meno nella lista delle aziende obbligate alla dovuta diligenza, quello che è possibile prevedere è un effetto a cascata sulle aziende fornitrici. Se la mancata segnalazione o gestione di eventuali effetti avversi materializzatisi nell’ambito della propria catena di fornitori comportasse per l’azienda cliente, immaginiamo una grande azienda europea, una responsabilità collegata con una sanzione, la cura e l’attenzione nella scelta dei propri fornitori in base all’affidabilità di questi ultimi in tema di rispetto dei diritti umani e dell’impatto ambientale aumenterebbe sicuramente.

Centro Studi MCCrescendo – Ricercatori M. Mega, A. Mezza, E. Mollona. 

 

 

Gli obblighi legati alla rendicontazione non finanziaria sono destinati ad uscire dal perimetro delle grandi imprese.

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