Questioni come quella delle differenze di genere, dell’orientamento sessuale o della disabilità toccano gran parte della nostra quotidianità, influenzando i nostri schemi mentali e il nostro modo di esser parte di una comunità civile.
Soprattutto in un mondo in cui il crescente multiculturalismo, la contaminazione e la circolazione di idee promosse dalla globalizzazione, i cambiamenti socio-demografici, il movimento LGBTQ+, i flussi migratori sono ormai argomenti all’ordine del giorno. E se in un primo momento il dibattito su questi temi sembrava essere appannaggio del mondo della politica, della cultura e delle istituzioni, oggi siamo ben consapevoli di come interessi profondamente ogni singolo aspetto del nostro vivere comune.
Il diversity management auspicabile nelle aziende
Il mondo dell’impresa per primo, luogo per eccellenza di incontro delle diversità, nel suo ruolo di promotrice di valore economico e soprattutto sociale, si interroga circa risposte efficaci da attuare per fronteggiare questioni sociali sempre più dirompenti, in un contesto in continua evoluzione e sempre più eterogeneo. Tra le sfide che tutte le aziende oggi affrontano, dunque, rientra anche quella di coniugare un impegno alla “gestione delle diversità” che possa contribuire alla crescita sociale delle comunità in cui le organizzazioni operano e, allo stesso tempo, generare benefici concreti per l’impresa stessa.
Proprio per questo, nelle organizzazioni moderne si è consolidato uno specifico ambito di gestione delle risorse umane noto come Diversity Management, ossia una modalità di gestione delle persone che partendo dalla consapevolezza delle diversità esistenti in ciascuno tenta di mettere in atto un cambiamento culturale diffuso e di progettare degli strumenti che permettano di accogliere le diversità compatibili con l’organizzazione.
Il diversity management può toccare svariati aspetti della compagine aziendale, dalle differenze di etnia o di religione, passando per l’orientamento sessuale. Spesso però l’elemento su cui le aziende decidono di agire in via prioritaria ha a che fare con le differenze uomo – donna presenti negli ambienti lavorativi. Un tema che suscita così tanto interesse anche perché nel nostro Paese esiste un divario piuttosto lampante: in Italia il tasso d’occupazione femminile è ancora fermo al 50%, diminuendo notevolmente se si considerano i settori professionali tecnico – scientifici o le posizioni manageriali, con solamente il 4% di donne tra i CEO delle aziende italiane. E secondo alcuni studi, dovremo aspettare ancora ben 99 anni per raggiungere la parità di genere in Italia.
A fronte di un simile scenario, come agiscono le aziende, grandi o piccole che siano, per provare ad accelerare il raggiungimento di una maggiore parità?
Un cambiamento culturale…
Molte organizzazioni che decidono di occuparsi della questione di genere spesso si imbattono in un errore comune: pensare che per agire in modo concreto e avanzare una qualche forma di progresso basti fare affidamento sulle sole politiche HR, puntando ad aumentare le “quote rosa” presenti in azienda, specialmente nelle posizioni apicali. Alcuni degli interventi più classici in questo senso hanno a che fare con le policy a supporto della maternità o con la costruzione di un percorso di selezione equo e bilanciato dal punto di vista del genere, o ancora con l’introduzione di strumenti di welfare e di supporto alla genitorialità, quali asili aziendali e orari di lavoro flessibili.
Simili interventi sono imprescindibili per mettere le donne nelle condizioni di conciliare la propria vita privata e lavorativa, ma rischiano di portare effetti momentanei e risultati caduchi che non saranno in grado di scatenare un vero e proprio cambiamento all’interno delle aziende e renderle pienamente inclusive. Per agire efficacemente su temi come quello della diversità di genere, infatti, è fondamentale lavorare anche su un livello prettamente culturale, creando dei valori condivisi che sappiano orientare i comportamenti di chi abita l’organizzazione e di conseguenza cambiare il mindset delle persone.
… Formulato su alcuni principi fondamentali
Se quindi gli interventi di diversity management non possono limitarsi all’introduzione di strumenti HR, ma devono puntare a cambiare la cultura organizzativa, come si può, allora, essere certi di metter in campo degli interventi di cambiamento culturale che siano davvero efficaci? Esistono tre principi fondamentali che non vanno dimenticati per provare ad agire davvero sulla cultura aziendale e raggiungere gli obiettivi desiderati.
- Adesione al contesto. Senza un vero e proprio lavoro di “diagnosi” e analisi del contesto aziendale, è impossibile implementare un percorso di cambiamento culturale pienamente efficace. Il punto di partenza degli interventi che agiscono sul piano culturale è proprio quello di “fotografare” la cultura che già c’è all’interno dell’azienda per esser certi di catturare le opinioni delle persone, la loro visione, quello che più funziona e quali invece sono le aree di maggiore criticità.
- Coinvolgimento generalizzato dell’organizzazione. Un cambiamento culturale vero e proprio non può venire “imposto dall’alto”. Ciascuno deve sentirsi responsabile in prima persona, più coinvolto e impegnato nell’agire comportamenti inclusivi. In questo senso, lavorare sulle persone e sulle loro esperienze, anche tramite adeguati percorsi di formazione e coaching, risulta indispensabile per favorire una maggiore consapevolezza. Troppo spesso l’inclusione viene percepita come qualcosa che riguarda solo le donne o le persone escluse. In realtà, coinvolge l’intera organizzazione che deve impegnarsi, nella consapevolezza che poter beneficiare della prospettiva e del contributo di tutti significa ottenere maggiore ricchezza di pareri e di opinioni e quindi maggior valore per tutti.
- Avere il committment della leadership aziendale. La leadership per prima deve mettersi in discussione e trasferire a tutta l’organizzazione l’importanza di quanto si sta cercando di mettere in campo. È proprio il management che deve riuscire a lanciare messaggi forti, tramite un’adeguata comunicazione e soprattutto aiutando le donne a crescere per creare un ambiente davvero inclusivo.
… In grado di favorire un cambio di prospettiva
Un secondo errore molto comune tra chi lavora sul divario di genere è quello di focalizzarsi esclusivamente sul raggiungimento di target numerici, da intendere come il mero incremento del numero di donne in azienda. Al contrario, per quanto i numeri siano una base importante per innescare un vero e proprio cambiamento, ciò che fa davvero la differenza è cambiare prospettiva e dar vita a una vera e propria trasformazione culturale che consenta di avere un ambiente organizzativo dove esistano le condizioni perché tutti possano lavorare al meglio e chi effettivamente merita riesca a crescere. Questo significa creare un’organizzazione in cui vi siano le stesse opportunità per tutti e dove, di conseguenza, “quelli bravi” sviluppino opportunità di carriera, indipendentemente dal fatto che siano donne, uomini, disabili o parte della comunità LGBTQ+.
È questa l’ottica con cui bisogna implementare le politiche HR, ossia quella di rimuovere alcuni ostacoli che inevitabilmente esistono per porre tutti nelle stesse condizioni, permettendo di competere “ad armi pari”. Non c’è equità senza meritocrazia.
E non c’è meritocrazia senza una cultura che si impegni nella valorizzazione del talento individuale, indipendentemente dalle differenze esistenti fra le persone.
… e di portare benefici concreti alle imprese e alla comunità
È per questo che la chiave di una vera e propria trasformazione e di un intervento di diversity management che porti i risultati sperati si ottiene solo spostando il focus dalla diversità all’inclusione, ovvero non chiedendosi semplicemente come gestire le diversità ma quali opportunità si celano dietro esse, cercando di avere un ruolo attivo nel far sentire le persone delle organizzazioni pienamente accettate al loro interno.
Con un simile cambio di prospettiva, i benefici del diversity management si potranno tradurre direttamente in vantaggi concreti per le aziende. Soddisfazione del personale, minore turnover, capacità di attrarre e trattenere le risorse migliori, ma anche maggiore creatività e produttività sono solo alcuni dei benefici diretti per le imprese. Ma la più grande ricchezza è forse quella di riuscire a beneficiare del contributo di tutti, creando un ambiente organizzativo dove se tutti i lavoratori sono messi nelle condizioni di esprimere il massimo di loro stessi e far emergere il proprio potenziale, possono senza dubbio porlo a vantaggio dell’azienda contribuendo direttamente al raggiungimento del successo organizzativo.
Più che lavorare sulla gestione delle diversità, quindi, bisognerebbe focalizzarsi sull’unicità delle persone, favorendo lo sviluppo di una cultura organizzativa che permetta a ognuno di porre la propria individualità, nella sua unicità, a beneficio dell’azienda. È così che si potrà sviluppare una società dove ciascuno può guadagnarsi il posto che crede di meritare pur rimanendo unicamente sé stesso, nella consapevolezza che se di certo non si può essere trattati come se fossimo tutti uguali, si può e si deve lavorare per essere considerati equivalenti.